Si può essere uniti a distanza Un nuovo e diverso incontro con gli studenti

di Cristina Cerveglieri

Chi avrebbe potuto immaginarlo?! Didattica e Distanza … accostate insieme … impensabile!

Non può esistere una didattica distante eppure questo periodo di emergenza ci fa ogni giorno sperimentare la Didattica a Distanza. Un primo breve periodo di pensieroso turbamento si è trasformato ben presto in un ponte solido, costruito con tanti piccoli mattoni: pazienza, coraggio, forza, solidarietà, aiuto, responsabilità e … perdono, anche per tutte le volte che abbiamo animatamente discusso con il nostro computer o tablet o cellulare perché non sempre hanno risposto simultaneamente ai nostri comandi.

Papa Francesco ha immediatamente aiutato tutti noi a non perderci dietro tante paure, indifferenze, egoismi, il suo imperativo “Uniti a distanza” è la forza che anima tutte le nostre giornate. Si può essere uniti a distanza? Sì, anche a scuola. Le difficoltà nel riuscire a raggiungere tutti i nostri alunni, la preoccupazione di non lasciare indietro nessuno, nulla di facile. Tutto assume comunque una dimensione diversa quando in video riusciamo ad incontrare i nostri ragazzi, quando riusciamo a leggere nei loro occhi le emozioni, nei loro messaggi o nelle loro riflessioni, i loro pensieri. La condivisione avviene e percorre le linee di una tecnologia finalmente nelle mani dell’uomo, finalmente per un utilizzo migliore, bello e importante. L’obiettivo è raggiunto, il lato positivo ci fa sorridere, la fatica si attenua … chi lo poteva immaginare… ma nulla è impossibile a Dio. L’incontro con l’altro, l’abbraccio, sentirci vicini anche nel silenzio e nella solitudine.

Le lotte dell’uomo non terminano mai, l’uomo è sempre in lotta con se stesso … se le preoccupazioni talvolta purtroppo lo incupiscono, trasformandolo in rinunciatario e denigratore, talvolta invece lo portano ad accettare le sfide più ambiziose. Fare l’insegnante è il lavoro più bello del mondo: se riusciamo a seminare la gioia nella vita e nelle difficoltà, anche le frustrazioni diventano un’occasione per migliorare.

Buon cammino e buona condivisione, perché uniti riusciamo meglio in tutto, anche a distanza.

“Da questa quarantena sto imparando io stesso molto dai miei studenti. E tra noi c’è più affetto”

di Renzo Brancaleoni

Pensando alla mia esperienza lavorativa, 34 anni di insegnamento di religione sempre nel medesimo Istituto, a fianco degli stessi docenti, o almeno di alcuni, il rischio potrebbe essere farmi prendere dalla routine.

Questa pandemia, con la conseguente sospensione delle lezioni, mi ha obbligato ad uscire, professionalmente, dalle mie sicurezze per accingermi in un terreno completamente nuovo e inesplorato: “La didattica a distanza”.

Il primo aspetto che ho sempre curato nel mio lavoro è l’incontro fisico con i miei allievi: guadarli negli occhi, cosa mi vogliono dire; toccarli: sono sereni, agitati, preoccupati? Ora nulla di tutto questo.

Ecco che è nata in me la prima considerazione che ho condiviso con le colleghe e i colleghi di materia: come essere presenti per i nostri ragazzi in questa situazione così strana e assurda? Insieme abbiamo individuato due temi che ci sono sembrati i più pertinenti per iniziare questa nuova avventura: “libertà” e “regole”.

La prima grande e inaspettata esperienza che ho vissuto è la gioia con la quale molti allievi mi hanno accolto nelle videolezioni. Non mi sono posto la domanda scolastica: “Dove siamo arrivati con gli argomenti?”, ma “Come state?” e sempre, da ognuno dei ragazzi: “E lei come sta, la sua famiglia?”. Il primo approccio è risultato di affetto e questo è un notevole passo avanti in una scuola che ha sempre privilegiato il razionale ed il cognitivo.

La seconda esperienza: la mia paura nell’usare strumenti di cui conosco poco è stata trasformata in risorsa dagli allievi. Ho potuto toccare con mano che, se tu dai fiducia, in cambio ottieni collaborazione e partecipazione.

La terza esperienza è quella didattica: ho privilegiato alla lezione tradizionale strumenti più innovativi e che creassero le condizioni per sentirsi, anche se in isolamento, gruppo (es. Kahoot a squadre). In questo mi sento di dire un grande “grazie” a tutti i miei allievi che hanno partecipato e continuano a partecipare con interesse.

La quarta esperienza, considerato che insegno alle superiori, è la bella relazione che si può vivere di una “didattica con vista sulla famiglia”. Alle volte c’è l’allievo/a con il proprio gatto o cane. In altri casi la mamma che passa e saluta il docente. Altre volte la mamma che chiama il figlio/la figlia per avvisare che è pronto il cibo. Possiamo dire che si è raggiunta una didattica veramente inclusiva: la scuola come comunità educante che cammina insieme alla famiglia.

L’ultima considerazione è che questa “didattica a distanza” mi ha acceso ulteriormente la passione per il mio lavoro e soprattutto per l’incontro con i miei ragazzi.

Per concludere penso che dalla mia esperienza professionale di questo ultimo periodo si possa tradurre la parola COVID in questo modo:

Continuiamo
Ognora a
Volerci
Incontrare
Domani.

“Facciamo capire ai ragazzi che anche ora ci siamo”

di Andrea Rimondi

Vivere la scuola al tempo dell’emergenza Coronavirus non è cosa facile, bisogna riorganizzare e rivedere i metodi didattici, oltre che trovare strategie che possano avvicinare i bambini in questo periodo per loro strano. Questo diventa altrettanto complicato nella scuola dell’infanzia, ordine di scuola nel quale insegno, in cui si ha a che fare con bambini di età compresa fra i 3-5 anni, che oltre ad essere destabilizzati dalla situazione, per loro complessa anche da comprendere, hanno bisogno di un metodo tutto particolare per essere raggiunti, perché non si può pretendere che vengano usati i “classici” strumenti di didattica a distanza, come videolezioni, ecc… Per cui si trovano, fra colleghi e colleghe, usando i talenti che si possiedono, alternative per raggiungere i bambini, far sentire a loro la nostra vicinanza, perché credo sia questo di cui hanno più bisogno in questo momento!

Come insegnante di religione sento maggiormente la responsabilità di essere vicino ai bambini, provare a mandare loro un messaggio di speranza, anche semplice. Trovare la tecnica giusta non è sempre facile, oltretutto adesso dobbiamo affidarci alla tecnologia, sperando non faccia brutti scherzi, e impegnandosi molto per usarla al meglio. Ma tutto ormai sta diventando possibile.

Un’altra cosa che in questi giorni mi fa sorridere è quel sano protagonismo che sta nascendo in me e in altri docenti, tutti attaccati alla videocamera per fare video-racconti o semplici messaggi di saluto, ma tutto questo esprime l’estrema importanza, che forse prima davamo per scontato, del rapporto fra le persone, e soprattutto con i bambini. I bambini hanno bisogno non solo di quello che diciamo e facciamo, ma in modo particolare di noi, della relazione con loro, della nostra voce e dei nostri gesti. In questi giorni alcuni genitori, facendosi da portavoce, hanno proprio espresso il desiderio dei loro figli e figlie di vederci, anche in video, ma di “metterci la faccia”. Non nascondo che diventa commovente sentire le loro voci registrate dai genitori o vedere la foto dei loro lavori fatti a casa. Anche questo è un segnale: il lavoro che prima vivevo nella quotidianità e nelle sue fatiche, ora acquisisce un gusto diverso, gesti che prima erano ordinari, come ricevere il disegno di un bambino, ora diventa fonte di gioia e commozione.

Non è un lavoro semplice e immediato, sicuramente più complesso dalla didattica usata fino ad ora, ma con impegno e dedizione bisogna sforzarsi, perché come insegnanti di religione abbiamo (e ho) il dovere di far capire ai bambini e ragazzi che ci siamo, perché anche solo la nostra presenza può vincolare quel messaggio cristiano di speranza, che loro, più di altri, ne hanno bisogno.

Se tutti diventiamo coscienti dell’importanza della relazione

di Elisa Borghi

Coronavirus, smart working, DAD, Amuchina, mascherine FFP3, droplet, pandemia, OMS…  ecco l’elenco di parole che sono diventate di uso quotidiano per tutti noi, a partire dal 24 febbraio di questo famigerato 2020.

Lo stesso mondo della scuola è stato travolto da uno tsunami: inizialmente si è parlato di “sospensione dell’attività didattica” ma in men che non si dica questo si è trasformato in “didattica a distanza” per poi approdare ad un (più condivisibile) “didattica di vicinanza”. Tablet, computer e smartphone hanno sostituito i libri di scuola; cucine, camere da letto e salotti si sono trasformati in aule.

Fin qui tutto bene. Poi ci siamo guardati intorno: dove sono gli insegnanti? Dove sono gli studenti? Ah eccoli! Tutti lì, sullo schermo del computer, in una di quelle tante piattaforme che permettono di creare le cosiddette aule virtuali. Perfetto! Bellissimo! Wow! Però… quando possiamo tornare a scuola?! Forse non avremmo mai pensato di porre questa domanda, con sempre maggiore insistenza, eppure tutti non vediamo l’ora di sentire nuovamente il suono della campanella, di scrivere con il gesso sulla lavagna, di condividere la merenda con i compagni o un caffè alla macchinetta con i colleghi… Pazzesco!

E’ servita una pandemia perché potessimo accorgerci dell’importanza di tutto ciò che avevamo, in particolare del valore delle relazioni, anche (soprattutto) a scuola. Inutile dire che noi insegnanti di religione ne avevamo già intuito il valore (ed ora ne abbiamo la certezza), facendo della relazione il punto di partenza per veicolare qualsiasi contenuto della nostra disciplina (che si fonda sulla relazione per antonomasia: Padre, Figlio e Spirito Santo). La cosa bella è che ora tutte le componenti del mondo dell’istruzione ne sono consapevoli: Dirigenti, studenti, famiglie, personale Ata, docenti. Durante le festività Pasquali girava questo calligramma:

Papa Francesco,  nel momento di preghiera straordinario sul sagrato di Piazza San Pietro lo scorso 27 marzo, prima di impartire l’indulgenza plenaria, ha detto: “Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante (…). Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. (…) Ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”.

Forse è questo lo sguardo con cui dovremmo affrontare il Coronavirus. Forse non serve parlare di insegnanti di religione piuttosto che di matematica, o di muratori invece che di cuochi, medici, operai, ingegneri, contadini o avvocati…

Parliamo di uomini, nella tempesta portata dal Coronavirus, che hanno riscoperto l’importanza di essere uniti. La speranza è che questo insegnamento non vada dimenticato quando ci troveremo a navigare in acque tranquille. Se ci riusciremo, avremo acquisito una competenza molto più importante di qualsiasi altro contenuto scolastico: avremo imparato a vivere secondo l’esempio di Gesù, amando il nostro prossimo come noi stessi.

Forse è proprio questo il momento in cui si riscopre davvero il senso del “noi”…

di Serena Tomasi

Sono ormai due mesi che la nostra routine è cambiata all’improvviso. Dalla sera alla mattina ci siamo ritrovati in una quotidianità sconosciuta, piena di interrogativi e incertezze, in cui tutto è diverso, tutto è pericoloso, tutti sono pericolosi. Abituati a vivere le nostre giornate ritmate dal suono della campanella, tra le voci dei bambini e coccolati dai loro abbracci, siamo stati catapultati nell’isolamento, con il pensiero che va a loro, alle tante cose che dovevamo fare ancora, ai tanti progetti iniziati, ad un “noi” che si era creato e che è così doloroso dover interrompere…

Sono un’insegnante di Religione alla Scuola Primaria, e passo le mie giornate a casa dividendomi tra la cura della vita famigliare e la scuola …Sì perché la scuola non è finita, anzi ora più che mai richiede energie e attenzione. La scuola è solo cambiata, forse è più impegnativa, ma anche più stimolante, dovendo inventarsi nuovi modi di fare lezione, in breve tempo, in videoconferenza, con i genitori come spettatori insieme ai bambini…

Non è stato facile abituarsi a questa nuova situazione, soprattutto all’inizio quando non si sapeva ancora quanto saremmo stati a casa, le notizie erano un po’ confuse, con i bambini si comunicava solo con il registro elettronico…cosa fare?

Nel disorientamento in cui mi sono trovata i primi giorni, ho sentito la necessità di non perdere il contatto, quel noi che si era creato con i bimbi a scuola. Ho scritto allora una letterina diversa per età, l’ho caricata nel registro elettronico e l’ho inviata. A scuola avevamo iniziato a parlare di S. Maria in Aula Regia e del quarto centenario dell’incoronazione, e ho pensato di raccontare che in passato sono state diverse le epidemie e che i comacchiesi si sono sempre rivolti a Maria per la salvezza, e non sono mai rimasti delusi. Così ho suggerito ai bimbi di cercare il buono da questa strana situazione, e ho proposto qualche attività anche per vincere la noia, disegni con Maria, piccole interviste a nonni e genitori sulla Madonna del Popolo… Volevo stuzzicarli e tenere viva la curiosità che spesso illuminava i loro occhi.

I bambini e le famiglie hanno collaborato; ricevere i loro disegni e i loro racconti mi ha commosso molto. Poi è arrivata la videoconferenza e finalmente ho rivisto i loro sorrisi, ho risentito le loro voci, sono entrata nelle loro case, come loro sono entrati nella mia, quel noi che si era creato continua e diventa più forte.

Certo, non è semplice gestire la famiglia e il lavoro con il computer. A volte si rischia di farsi prendere dallo sconforto e dalla stanchezza perché è tutto molto più faticoso e impegnativo, ma in fondo non siamo mica in vacanza…Se mi guardo attorno vedo persone che stanno perdendo il lavoro e con esso la speranza. È straziante vedere quanta sofferenza porta questa epidemia, povertà, famiglie divise, lontane, ci ha tolto perfino l’Eucaristia. È inevitabile, anche io sono preoccupata, spaventata, angosciata perché questa situazione e questo virus non sono conosciuti, e ciò che non si conosce spaventa. Ma questo non deve farci smettere di cercare il buono in ogni situazione…Di assaporare ogni singolo istante… Nessuno è esente da fatica, e questo è anche il bello della vita, in fondo se riuscissimo a vedere con gli occhi del Signore, tutto assumerebbe un aspetto diverso e le nostre fatiche diventerebbero liete passeggiate.

Penso a un passo del Vangelo di Matteo: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11, 28-30). E aggiungo una frase di S. Agostino a me molto cara: “Quando si ama, non si fatica, o, se si fatica, la stessa fatica è amata”.

Condivido quello che mi ha scritto un mio caro amico: “Nonostante tutto, la bilancia pende più dalla parte del dono…”. Poter trascorrere più tempo con i famigliari, sapere che ci sono dei bambini che aspettano la video-lezione con curiosità per uscire un po’ dalla noiosa routine e che appena ti vedono, chiedono: “Cosa facciamo oggi?”, ecco, questo è davvero un grande dono, dà speranza e fa dimenticare tutte le fatiche.

Ho sempre pensato a questa professione non come un lavoro tra tanti, ma come una chiamata, una missione. Siamo stati chiamati ad essere insegnanti qui, ora; forse, in questo periodo il nostro compito è quello di far sentire ai bimbi che sono nel nostro cuore, motivarli, stimolarli, incoraggiarli…

Forse è proprio questo il momento in cui si riscopre davvero il senso del “noi”, che non è stare insieme nella confusione per fare mucchio, ma è relazione, nella semplice quotidianità, nel pregare insieme, è relazione a distanza, con il cellulare, con il computer ma è un vero “noi”…quel “noi” fatto di poche parole, quel “noi” che riscopre non la quantità del tempo, ma la qualità…