Il Covid sta sfidando il villaggio globale, senza distinzioni. Tutti ne stanno pagando pegno e, come sempre, a subirne le conseguenze più negative sono gli ultimi e quanti vivono in situazioni di sofferenza e marginalità. Innumerevoli le realtà del Terzo Settore che si sono trovate ad affrontare l’emergenza pandemica, cercando di limitarne le conseguenze, con particolare riguardo alle centinaia di persone che fanno riferimento alle strutture deputate alla cura, alla presa in carico, all’accoglienza.

L’esperienza della Fondazione Betania di Catanzaro si inserisce in questo contesto e rappresenta un vissuto a tutto tondo, in quanto rappresentativa di una diversità di bisogni, di vissuti, di esperienze.

Fondazione Betania è una realtà calabrese che opera nel settore della solidarietà sociale per la esigibilità dei diritti alla salute ed alla integrazione da parte delle persone sofferenti e fragili. Nasce a Catanzaro e a Gasperina (Cz) nel 1944 all’interno del mondo cattolico calabrese su iniziativa dei sacerdoti, don Giovanni Apa, don Nicola Paparo e don Giovanni Capellupo e di una donna consacrata, Maria Innocenza Macrina, per prendersi cura delle persone disabili, anziane e di quelle comunque bisognose a causa della guerra ancora in corso. Oggi è impegnata nei servizi sanitari, socio sanitari e di prossimità in RSA, Case Protette, Centri di Riabilitazione, Case Famiglia e Centri Socio-Riabilitativi per persone con disabilità. L’impegno/servizio di Fondazione Betania ha come riferimento la promozione e l’affermazione della dignità delle persone svantaggiate ed in situazione di marginalità, ispirando le attività dell’assistenza al comandamento evangelico della carità. La Missione della Fondazione trova la propria ragione soprattutto nella “caritas”, intesa così come Paolo, nella seconda Lettera ai Corinti, l’ha annunciata: “brucia dentro di noi lo stesso amore con cui Cristo ci ha amati” (2 Cor 5,14). E’ la visione dell’amore come relazione-dono che impegna a incrementare, migliorare e finalizzare il patrimonio della Fondazione alla creazione di percorsi terapeutici (migliorativi, trasformativi, riabilitativi) all’interno di contesti comunitari capaci di offrire occasioni di promozione ed affermazione della dignità di particolari soggetti deboli.

Si comprende allora come, di fronte all’irruzione dell’emergenza pandemica, anche per una realtà come la Fondazione Betania non è stato semplice continuare ad operare, salvaguardando e tutelando non solo la missione a cui è chiamata, ma anche la tutela della salute delle tante persone fragili e sofferenti ad essa affidate. C’è un dato che è significativo: nessuno degli ospiti e degli operatori sono stati infettati dal Covid, ma i momenti difficili non sono mancati e non mancheranno. Momenti di sofferenza, comuni a tante altre realtà similari, che non potevano non segnare la qualità della vita dei luoghi della cura e della convivenza, luoghi e spazi concepiti e pensati aperti e che, improvvisamente, hanno dovuto fronteggiare limitazioni e ristrettezze, distanziamenti e massiccio utilizzo di dispositivi di sicurezza e prevenzione. I tanti ospiti cognitivamente attivi e vigili sono rimasti in linea di massima tranquilli; alcuni a battuta hanno affermato che loro hanno affrontato una guerra, “si affronterà anche questa”. C’è chi ha paragonato questo momento proprio al periodo della guerra: tutte queste limitazioni, le strade deserte, i parenti che non si vedono… sembra “il coprifuoco”, con l’unica differenza che “almeno adesso non manca il mangiare, in tempo di guerra invece…”. La sofferenza più forte? Il contatto e la visita di amici e parenti, ma anche le uscite sul territorio, le iniziative di aggregazione e di socializzazione, il sentirsi cittadini del mondo.  Per chi è più “fortunato” e meno compromesso c’è la possibilità di vedere e/o sentire telefonicamente parenti, amici e volontari, con cui poter scambiare qualche parola e condividere ancora il proprio vissuto, oppure partecipare alle attività animative pensate proprio con lo scopo di fornire loro un momento di scambio e di compagnia. Non sono mancati anche gli arcobaleni, colorati direttamente dagli ospiti, per trasmettere un messaggio di speranza e positività.

Arcobaleni che riflettono il servizio di quanti, amministratori e dirigenti, ma soprattutto i quasi quattrocento operatori (tra medici, infermieri, oss, psicologi, fisioterapisti, educatori, assistenti sociali) che si sono assunti l’onere di garantire la serenità della convivenza e la continuità delle cure, attraverso una generosa e coraggiosa testimonianza e dedizione, spendendosi perché il dolore non abbia l’ultima parola, come hanno avuto modo di ricordare i sacerdoti che prestano il loro servizio, a vario titolo, in Betania, nel giorno di Pasqua.

In questo senso a Betania è ogni giorno Pasqua, con il suo senso profondo che è il fondamento ultimo della capacità di prendersi cura, di condividere, di essere testimoni di una solidarietà coraggiosa che alla fine è capace di superare ogni ostacolo.

È un periodo e un tempo di riscoperta, un tempo di silenzio, un tempo di sguardi intensi, nonostante le mascherine un tempo pieno di tutte quelle cose semplici, piccole, a volte nascoste agli occhi degli altri, ma che fanno bene al cuore. Come il semplice suono dell’organetto che cerca di allietare una quotidianità altrimenti destinata a riscoprirsi fredda e vuota.

di Mario Arcuri