Suore e cappellani a sostegno degli ammalati

Sono 57 i posti letto che la Regione Lazio ha chiesto di destinare alla cura di pazienti contagiati dal coronavirus – come supporto ai centri Covid della Capitale – all’ospedale intitolato a Madre Giuseppina Vannini, fondatrice delle Figlie di San Camillo. Sono 57 anche le suore camilliane che dal virus sono state colpite nella casa generalizia di Grottaferrata, oggi tutte guarite.

Suor Annie Mariavilla, che opera nel nosocomio al Casilino (nel V Municipio), legge in questa «non casuale corrispondenza un segno della mano di Dio», guardando al prendersi cura degli ammalati presenti nella struttura come alla possibilità di realizzare una forma di vicinanza alle consorelle in quarantena ai Castelli Romani.

Suor Sabine Zigani, caposala del reparto di rianimazione, ricorda più di tutto «gli occhi smarriti e sfiduciati degli ammalati», ai quali «abbiamo cercato di far sentire la nostra presenza, sussurrando loro parole di speranza e di fiducia», riconoscendo nel letto di ogni malato «Cristo crocifisso e misericordioso». Questa «esperienza dell’epidemia – prosegue – ci ha riportato a cogliere il limite dell’umanità, ricordandoci che dobbiamo sempre ritornare a Dio, al suo disegno».

Di esperienza «edificante e umanamente molto ricca» parla anche don Slawomir Skwierzynski, dallo scorso settembre cappellano ospedaliero al Vannini, «per me una vera famiglia, un ambiente dove mi sono subito sentito accolto e benvoluto – dice – e dove in questi ultimi mesi di emergenza sanitaria i rapporti di stima e amicizia con medici, infermieri e ausiliari si sono rafforzati moltissimo».

Ogni mattina, sfruttando il sistema di interfono dell’ospedale, «noi cappellani abbiamo voluto far arrivare a tutti, pazienti e personale, la lettura del Vangelo e una meditazione – racconta –; poi durante il giorno, spesso medici e infermieri ci avvicinavano per un commento alla Parola, o per cercare un momento di condivisione e conforto, a volte anche solo per sdrammatizzare la tensione».

Don Skwierzynski sottolinea come sia stato «naturale, pur con tutte le necessarie precauzioni, continuare a garantire una presenza costante nei reparti», sia per i pazienti, «laddove le visite dei familiari erano vietate o ridotte al minimo», sia per «dare sostegno a medici, infermieri e operatori sanitari che ho visto mettersi a servizio degli altri con il cuore, nonostante la preoccupazione per la propria famiglia».

Anche padre Germano Santone, uno dei 7 cappellani dell’ospedale San Giovanni Addolorata, elogia «lo spirito di servizio e di sacrificio di tutto il personale ospedaliero», auspicando che «la professionalità di medici, infermieri e operatori sanitari venga riconosciuta adeguatamente ogni giorno, al di là di un entusiasmo mediatico che durante questa emergenza ha definito questi professionisti degli eroi».

Il religioso inoltre osserva come questo tempo di epidemia abbia dato vita ad «una pastorale sanitaria tutta nuova, specie nel farci ponte tra malati e familiari, cui erano interdette le visite», arrivando pure «alle periferie dell’ospedale», ad esempio nella vicinanza ai vigilanti.

di Michela Altoviti