“Nella stanza bianca”

Il vescovo di Caltagirone, mons. Peri, racconta la sua esperienza con il Covid-19

«V’invito ad essere prudenti nei confronti di questo minuscolo e subdolo killer».

Con il numero dei contagi in risalita, il vescovo Calogero Peri rilancia il suo monito a non prendere sottogamba le conseguenze della diffusione del Covid19: una testimonianza forte e sentita, frutto di un’esperienza personale segnata dai giorni di malattia. Una #MemoriaCovid che anticipiamo attraverso questo articolo mentre esce in libreria il volume “Nella Stanza bianca” (Il Pozzo di Giacobbe, collana “Oasi”), un’intervista in cui il vescovo di Caltagirone racconta l’esperienza cui è stato costretto dal virus a fine marzo scorso: i sintomi non subito riconoscibili, il ricovero, le paure scatenate dall’isolamento e la straordinaria esperienza, umana e spirituale, vissuta “nella stanza bianca” dell’Ospedale “Santo Pietro e Gravina” di Caltagirone, dov’è stato ricoverato per un mese.

La diagnosi: è COVID-19

Il 2 aprile 2020, dopo alcuni giorni di malessere, il vescovo di Caltagirone viene ricoverato in ospedale. Il tampone conferma la diagnosi: si tratta del Covid-19. Inizia così un lungo calvario unito ad una profonda solitudine in cui, nudo di fronte al creatore, il vescovo inizia un dialogo a tu per tu con un piccolo crocifisso attaccato alla parete. Un’esperienza interiore forte, impronunciabile secondo le consuete categorie della teologia o della filosofia, che il vescovo racconta con semplicità, mettendosi a nudo. In questo tempo e spazio “oltre” in cui si ritrova catapultato, nel dialogo muto a tu per tu con un piccolo crocifisso attaccato nella sua camera di ospedale, la nudità in cui si ritrova ha un risvolto promettente e sconvolgente. Una grandissima opportunità, ritrovarsi tra i “malati del mondo” per ritornare all’essenziale, un “tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci”, ha affermato papa Francesco durante la preghiera per implorare la fine della pandemia, nella piazza San Pietro vuota, il 27 marzo scorso.

La testimonianza

“Ho avuto il coronavirus, giorni e giorni con la febbre nonostante gli antibiotici, non riuscivo a stare in piedi, mi mancava il respiro. Tutto questo non era una messinscena” racconta il vescovo. “Fanno tristezza le discussioni dei negazionisti, ma si è arrivati a negare la Shoah, per cui ora quasi non mi stupisce si arrivi a negare il coronavirus. Il punto è che da questi negazionisti non ho visto argomentazioni e allora si finisce per offendere la dignità di chi ha pagato il prezzo più alto e ha perso la vita” continua, avendo visto da vicino la morte. “Un tempo c’era l’evidenza, oggi c’è l’opinione e non ci si misura con più con la realtà. Non mi meraviglio culturalmente che si neghi tutto e il contrario di tutto. Nessuno augura loro un’esperienza drammatica ma servono argomenti, ragionamenti, esperienze, dati. La polmonite interstiziale è una realtà, come lo sono gli intubati per Covid”.

L’appello

Da qui l’appello del vescovo si negazionisti: “Qui non serve il folklore, se vogliamo discutere delle ragioni io ci sono ma finora ho assistito solo a diatribe becere anche nei talk show. Sono in gioco le nostre vite, la società – osserva. – Mi innervosisce l’idea che ci sia sempre un nemico. Il coronavirus non è una messa in scena. Se ci sono argomentazioni sono pronto a confrontarmi ma se non si riescono a supportarle, come vedo, non hanno nessun valore. E poi chiedo: siamo pronti alla seconda ondata?”. E mentre il Ministro della Salute, Roberto Speranza, arriva senza mezzi termini a raccomandare di evitare uscite inutili per la gravità della situazione, in Sicilia al 21 ottobre risultano contagiate 7.497 persone, a fronte dei soli 113 che, in tutta l’isola, si registravano al 23 giugno scorso. Un aumento esponenziale e senza mezzi termini, del quale l’aumento dei tamponi è solo specchio e non consolazione.

Quali saranno i risvolti?

Rispetto a questo quesito di fondo e alla radicale necessità di cambiamento insita, mons. Peri non racconta ancora quali potranno essere i risvolti, ma attraverso la sua testimonianza di malato e poi di guarito lancia un accorato appello anche alla Chiesa e alla società in genere che vale la pena ascoltare e meditare: in particolare sulla necessità di unità di intenti trasversale tra istituzioni e tecnici, quindi sulla capacità di sacrificio collettiva cui ogni cittadino è, volente o nolente, chiamato; un appello alla pazienza e soprattutto alla condivisione di strategie e beni, in un momento di contrazione di mercati, fiducia e speranza stessa. Con qualche sottolineatura evidente e ripetuta, rispetto all’equilibrio tra prudenza e, al contempo, attenzione a non farsi prendere dal panico. Il volume, che anticipiamo a grandi linee in questo articolo, raccoglie un’intervista rilasciata a Lilli Genco mentre mons. Peri si trovava in riabilitazione, tra maggio e giugno del 2020, a Biancavilla (CT). La seconda parte – dal titolo “Dalla stanza bianca” – raccoglie le lettere e i messaggi che il vescovo di Caltagirone ha condiviso con la sua Diocesi durante il ricovero, fino al 3 maggio del 2020. Materiale prezioso, scritto di getto sul cellulare, parte della stessa esperienza, di questa nuova rivelazione dall’interno avvenuta non in un monastero o in una cattedrale, ma nel tempio vivo di una stanza bianca.

di Mario Agostino