Mi ha chiesto di riprendere con lo smartphone la preghiera

La testimonianza del diacono incaricato del servizio al cimitero

Il culto dei defunti ha operato nella storia umana la sintesi di due profonde dimensioni: religiosa e antropologica; l’uso di seppellire i morti risale all’epoca paleolitica, quando gli uomini, sospinti dal freddo, impararono a proteggersi con pelli di animali ai quali contendevano l’utilizzo delle caverne.

In oltre sei anni di servizio pastorale al Cimitero urbano di Asti ho avuto occasione di assistere molte persone che accompagnavano un congiunto, di pregare con loro e per loro, ma mai avrei immaginato di dover essere testimone di una situazione così dolorosa in cui i credenti sono privati della possibilità di celebrare la Santa Messa di sepoltura per i loro cari e, in caso di decesso in situazione di positività al coronavirus, dal giorno del ricovero in ospedale non hanno più avuto modo di poterli vedere, assistere e sostenere nel momento della morte.

In questi giorni difficili, i defunti sono accompagnati direttamente dall’ospedale o da casa al cimitero dove, alla presenza di pochissimi parenti, dopo una breve sosta in preghiera nei pressi del sepolcro o del tempio crematorio, ha luogo la benedizione con il rito dell’”ultima raccomandazione e commiato”, con il quale la Chiesa consegna i suoi figli al Padre della Vita; l’obbligo della distanza fa emergere con più intensità l’assenza del calore di un abbraccio o, almeno, di una stretta di mano a dimostrare la prossimità a chi è colpito dal lutto.

Camminando accanto a questi “cortei” formati da tre, quattro persone che procedono distanziate tra loro indossando la mascherina, indumento che certo non favorisce la relazione, mi hanno colpito il dolore di uno sposo cristiano, anziano e malato, che ha associato la sofferenza per la perdita della compagna di una vita allo smarrimento per non poter celebrare il funerale in chiesa, e la tenerezza di una giovane nipote che ha chiesto di riprendere con lo smartphone la preghiera per il nonno da far vedere agli altri familiari, tutti costretti a casa in quarantena.

Non posso infine tacere la grande prova di professionalità e umana sensibilità che in questo frangente stanno offrendo a tutti i livelli gli operatori del Cimitero nella relazione, spesso difficile, con i congiunti.

Quando avevo iniziato questo servizio mi avevano detto che si trattava di un compito difficile, e anche un po’ ingrato, in quanto le uniche informazioni disponibili erano il nome e l’età dei defunti, con difficoltà quindi a poter esprimere un messaggio di conforto che potesse in qualche modo recare sollievo al dolore e, al contempo, modulato sul vissuto della persona sofferente, rendere più fecondo l’annuncio.

L’esperienza mi ha in parte confermato la validità dell’osservazione ma nondimeno mi ha reso più consapevole che nostro compito è quello della semina, non del raccolto, riservato a suo tempo al Padrone della messe; alla scuola del cimitero ogni tentazione di autoreferenzialità è stroncata sul nascere.