«Ora siamo amici». Queste sono state le parole di Kadijia al termine della nostra ultima lezione. I timori e gli sforzi provati in queste settimane durante il servizio di doposcuola promosso dalla Caritas nei confronti di due famiglie inserite nei percorsi dei Corridoi Umanitari ed ospiti della Diocesi di Ragusa, non potevano essere ripagati in modo migliore.

E se è pur vero che, conseguentemente all’emergenza sanitaria, il Servizio Civile di quest’anno ha assunto toni e virato su tematiche diverse da quelle scelte da noi inizialmente, è anche certo che l’enorme soddisfazione per aver aiutato delle ragazze e dei ragazzi, studenti come noi, è impagabile. Ragazze e ragazzi che hanno probabilmente subìto il colpo più duro da questa epidemia. Già costretti a rimanere tra quattro mura per via degli effetti del lockdown, ad essi è stata vietata ogni tipo di socializzazione. Della didattica a distanza, poi, si è più volte detto.

Gli studenti provenienti da famiglie sprovviste di mezzi tecnici, di una connessione ad internet, della capacità di avviare una video lezione, o saper comunicare con gli insegnanti attraverso le piattaforme online, sono irrimediabilmente rimasti indietro rispetto agli altri. Questo denota l’aspetto antidemocratico di questa esperienza didattica emergenziale, che non ha saputo garantire a tutti il libero accesso all’istruzione. In questo senso si colloca l’operato della Caritas di Ragusa che ha fornito pc e tablet, utili alla partecipazione alle lezioni online, oltre al già citato servizio di doposcuola che ha visto partecipi noi ragazzi del Servizio Civile, già coinvolti oltre che nel progetto dei Corridoi Umanitari, anche nel progetto Presidio di Marina di Acate.

A tal proposito è anche utile ricordare come le ragazze e i ragazzi residenti nelle campagne della fascia trasformata, non siano stati lasciati soli dalla Caritas, che ha provveduto a fornire dispositivi tablet a chiunque ne facesse richiesta, in modo da permettere la partecipazione alle lezioni online ed evitare di rimanere indietro rispetto ai compagni. I lavoratori residenti nelle zone rurali della fascia trasformata vivono quotidianamente gli effetti dell’isolamento sociale, acuiti in maniera spropositata dall’emergenza sanitaria in corso. La realtà agricola che circondai bambini e i ragazzi appartenenti alle famiglie dei braccianti, immersi nella terra ambrata tipica della zona costiera tra i comparti di serre, fatta di duro lavoro e poco svago, è spesso inumana.

La scuola rappresenta per loro uno dei pochi momenti di evasione dalla quotidianità, uno sguardo alla normalità che possiede un peso specifico inferiore per chi vive in città e non vive situazioni di grave emarginazione. La nostra speranza, all’affacciarsi della stagione estiva, è che le misure legate all’emergenza sanitaria possano permetterci di riprendere le attività portate avanti in questi mesi e in questi anni, in modo da non lasciare solo chi già vive situazioni di precarietà sociale e isolamento fisico e umano.

di Sebastiano Cugnata