La gioia per una nuova vita …in questi “tempi sospesi”

L’esperienza di Marzia, la mamma di Nicolò, nato lo scorso 8 aprile. “Sono giorni intensi, più intimi, ma manca la bellezza del poter condividere certi momenti con le persone care...”

Una nuova vita è sempre una buona notizia. E mai come ora abbiamo bisogno di buone notizie, in questo momento storico di difficoltà a vari livelli, e di “tempo sospeso”.

Una nuova vita che nasce dona una prospettiva, un senso di futuro. È essa stessa una prospettiva. Un segno di speranza. Abbiamo incontrato alcune famiglie, alcune mamme e genitori che in queste settimane hanno vissuto l’esperienza della nascita per raccogliere una loro testimonianza in questo tempo di Coronavirus, dall’attesa alla nascita. Tra queste c’è la famiglia formata da Roberto Viglietta e Marzia Rinaldi, genitori di Celeste e Matteo, ormai adolescenti (e del piccolo Jacopo mancato quando aveva quasi 6 anni) ed ora nuovamente genitori di Nicolò nato l’8 aprile scorso.

“Quando è esplosa l’emergenza Coronavirus ed è cominciata la clausura forzata io ero già nel settimo mese e mi stavo avviando verso la fine della gravidanza…” – spiega Marzia – “ma se ripenso ai mesi passati, quando si poteva viaggiare liberamente, mi viene in mente ad esempio che sono stata a gennaio a Milano quando probabilmente regnava già il Covid e nessuno lo sapeva… ripensarci ora mi fa un certo effetto”.

E poi è arrivato gradualmente il lockdown.

“Da carnevale poi, quando abbiamo avvertito che le scuole avrebbero chiuso e quindi anche i ragazzi più grandi sarebbero rimasti a casa per un po’, con i miei figli, ci siamo rifugiati una settimana in montagna… pensando che nel giro di poco tempo la situazione sarebbe tornata alla normalità. Ma così non è stato e dopo pochi giorni siamo tornati a Fossano, anche perché io avevo esami e visite da fare”.

Ed è iniziata, come per tanti, la lunga sequela degli accorgimenti e delle buone pratiche da tenere per evitare il contagio.

“Ho adottato subito tutti i presidi medici imposti, mascherina e guanti dovunque andassi – racconta -. E ovviamente molte cose le ho dovute fare da sola. Da sola in macchina, da sola a fare esami, da sola a fare la spesa… negli ospedali non si poteva entrare in due, ma per fortuna fisicamente sono sempre stata bene, per cui non avrei comunque avuto bisogno di accompagnatori…”.

Certo un po’ di apprensione c’è stata:

“Continuavo a guardare dati e statistiche di bimbi nati da mamme con Covid, anche se grazie a Dio la maggior parte nascevano senza infezione…”

E intanto arrivano le ultime settimane prima del parto, che in questo caso si trattava di parto programmato.

“Quando sono arrivata nella fase in cui si intensificano anche le visite e i controlli devo dire che il livello di attenzione era già massimo e quindi gli accessi in ospedale, le visite e tutto il resto sono stati fatti in assoluta sicurezza. E devo dire che il personale medico in questo è stato impeccabile”.

E poi, il giorno del parto.

“Arrivati in ospedale – spiega – sono rimasta da sola fino al momento del parto, perché al papà vengono concesse soltanto due ore quando nasce il bimbo. Essendo un cesareo devo dire che non c’era il bisogno di una presenza fisica costante, ma mi è capitato di vedere mamme alle prese con il primo parto che ovviamente avrebbero avuto bisogno di avere qualcuno accanto, durante il travaglio, ma purtroppo non è stato possibile. E mi hanno fatto molta tenerezza”.

Marzia è una donna forte e che ama vedere il positivo delle cose:

“Se vogliamo guardare al lato positivo, l’ospedale era molto più tranquillo del solito e per il neonato penso sia buono poter vivere questa pace nelle prime ore di vita. E poi in effetti non siamo stati lasciati soli, il personale si è preso cura di noi e non ci ha fatto mancare nulla. In quella pace, l’unica cosa che contava era il bambino che stava per nascere, mi sono dimenticata del mondo fuori e mi sono concentrata su quello che stava succedendo, su questo evento che ti inonda di gioia e ti travolge completamente”.

Un ricovero lampo e poi il ritorno a casa. Alla “normalità” o meglio a quella che in queste settimane è diventata la normalità

Ora siamo tutti a casa, e se da un lato il vivere in questa situazione ci fa riscoprire cose che la vita frenetica di ogni giorno non ci permetteva di gustare, dall’altro sono consapevole che ci stiamo perdendo delle cose per strada, e mi chiedo quando le persone che amo potranno finalmente vedere e prendere in braccio Nicolò. Ora è piccolissimo, ma anche lui avrebbe bisogno di iniziare a vedere il mondo che ha attorno. Mi fa male, pensare come una semplice passeggiata possa essere un problema. E poi penso agli altri miei figli che sono più grandi e che vivono questo periodo di isolamento perdendosi tante esperienze che sono determinanti per ragazzi e ragazze della loro età. Tutto è sospeso, in stand by. E chissà come e quando si tornerà alla normalità. Stiamo vivendo un periodo così strano. Ma lo dobbiamo vivere nel modo più intenso possibile, cercando di trovare il positivo anche in questa situazione così surreale”.

di Walter Lamberti