Insegnanti, catechisti,e animatori grest si raccontano durante la pandemia

La memoria della Chiesa italiana nel tempo del Covid-19

Il prossimo 24 settembre le campanelle torneranno a suonare nelle scuole della nostra città. Nonostante resti ancora alta l’attenzione per la pandemia in corso, studenti e professori potranno rivedersi e cominciare un nuovo anno scolastico insieme. La chiusura delle scuole di ogni ordine e grado in Italia è stata una delle misure cautelative più forti e stringenti, decise dell’attuale governo: nel giro di pochi giorni la didattica tradizionale si è dovuta trasformare in Dad (didattica a distanza), un adeguamento che ha comportato non pochi cambiamenti nella gestione dei programmi, delle verifiche e di tutte le attività che vedono coinvolti docenti e discenti.

Anche a L’Aquila tutte le scuole hanno sospeso la vita scolastica e, di conseguenza, il corpo docente si è trovato a fare i conti con la presenza virtuale delle classi e l’adozione della Dad. Pur di rimanere in contatto con i propri alunni e di salvaguardare il bene primario dell’istruzione, molti docenti hanno sfruttato le possibilità che venivano loro date dalla tecnologia facendo lezione a distanza.

Per l’aquilana Angela Nanni, insegnante di scuola elementare, quello del lockdown «è stato un periodo molto difficile. Lo abbiamo vissuto insieme, alunni, genitori ed insegnanti, mettendo in campo tutte le strategie necessarie per affrontarlo con serenità e coraggio. Abbiamo fatto tutto il possibile per conservare una apparente normalità, per guardare la tragedia che stavamo vivendo, senza lasciarci sopraffare dal contagio della paura, pur sentendoci spesso fragili e impotenti.
Sicuramente, abbiamo imparato ad apprezzare di più la vita, le piccole cose, le persone da cui siamo stati forzatamente lontani e i nostri alunni hanno imparato ad apprezzare di più la scuola. Per me, come insegnante, è stato un grande aiuto, in un terribile scenario di morte, dover lavorare per la crescita umana e culturale dei miei ragazzi e, confidando nei valori cristiani in cui credo e che ho sempre cercato di trasmettere, con loro ho riempito di arcobaleni gli spazi virtuali condivisi, ripetendo spesso insieme: ‘Andrà tutto bene!’».

Il processo di digitalizzazione dell’istruzione ha preteso da molti insegnati competenze nuove e inedite: la gestione di una lezione on line, le prove di verifica svolte a casa e inviate via mail, la presenza virtuale degli alunni sono state delle vere e proprie novità per il nostro corpo docente. Nel territorio aquilano ai problemi della serrata generale se ne sono aggiunti altri di carattere strutturale, in quanto in molte zone della periferia e dei comuni limitrofi non sempre è stata garantita una buona connessione internet.

L’insegnate Lidia Mioni offre un’attenta analisi dell’adozione della Dad e degli effetti che questa ha avuto sugli studenti e, in particolar modo, sui ragazzi disabili.
«Come insegnante di scuola primaria sono sempre stata attiva e propensa all’utilizzo dei dispositivi digitali nella didattica; sono convinta che essi siano ottimi strumenti compensativi e che permettano all’alunno di essere un efficiente costruttore del suo apprendimento, stimolandone la creatività, il pensiero divergente e realizzando in questo modo il tanto agognato obiettivo ‘di imparare ad imparare’. Bisogna però riscontrare che nella DaD c’è stata la spersonalizzazione intersoggettiva, mi viene in mente la siepe dell’Infinito di G. Leopardi che

“da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”

, dove la siepe è il mio computer che mi ha precluso per settimane una visione attenta e generale dei miei studenti. Si, è vero, la Dad ha raggiunto molti studenti, ma non tutti, e soprattutto non i più fragili, i diversamente abili, coloro i quali hanno realmente bisogno di un contatto fisico. Neppure la strumentazione tecnologica più all’avanguardia può sostituire l’importanza di un abbraccio, di uno sguardo amico, di una presenza rassicurante come quella dell’insegnante. Nulla può sostituire la soddisfazione di vedere nei volti dei miei alunni il sorriso che illumina il loro volto: questo è il più grande e bel feedback che si possa avere»

La distanza creata dalla Dad però ha avuto anche degli effetti positivi: seguire le lezioni da casa, quindi in un ambiente familiare, ha facilitato l’attenzione e l’apertura di non pochi studenti, che non vivono bene la presenza nella classe reale. L’essere davanti a un pc ha permesso il superamento di fattori come la timidezza, l’imbarazzo e la riservatezza che possono inibire l’animo degli studenti più discreti.

Anna Modica, docente di matematica alla scuola media, nonostante le difficoltà causate dalla nuova forma didattica, ha notato un cambiamento positivo in molti suoi alunni grazie alla Dad: «Al di là delle difficoltà pratiche riguardanti nello specifico la mia disciplina, perché non è facile ‘scrivere la matematica’ con il computer, la DaD mi ha privato del piacere di essere in classe e poter cogliere l’espressione di ogni ragazzo. Però ho notato che per alcuni di essi, a cui la presenza in classe crea ansia in quanto si sentono addosso lo sguardo di compagni e professori, è stata l’occasione per ‘uscire fuori’. Ho visto alcuni miei alunni vivere la scuola in modo più sereno e manifestare il loro potenziale effettivo, che diversamente sarebbe emerso con più difficoltà. Sicuramente – pensando al nuovo anno scolastico aggiunge – mi auguro un anno in presenza, in cui torni ad essere possibile uno scambio reciproco di emozioni, tenendo però presente come aiutare i ragazzi a vivere in serenità lo stare in classe senza essere ‘appesantiti’ dallo sguardo altrui».

Esistono docenti che sono impegnati non solo nella didattica istituzionale ma che dedicano parte del loro tempo anche alla catechesi in parrocchia. Con la sospensione delle celebrazioni liturgiche anche la catechesi si è fermata e ha dovuto trovare modi alternativi per la preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana.

Alessandra Circi di Cagnano Amiterno, docente di materie letterarie nelle scuole superiori e catechista della parrocchia di San Giovanni, ricorda chiaramente gli sforzi spesi non solo per la Dad ma anche per il mantenimento del catechismo: «Il lockdown mi ha messo a dura prova come mamma, come catechista e come insegnante. In pochi giorni ho dovuto reinventare il mio lavoro cercando di capire le esigenze dei miei alunni e provando a risolvere le varie difficoltà. Il mio unico scopo è stato quello di arrivare a tutti, aiutare tutti, dando la mia disponibilità in ogni momento della giornata, facendo i salti mortali tra le mie video lezioni, i compiti dei miei figli, gli incontri a distanza con i gruppi di catechismo. In alcuni momenti è stato davvero difficile gestire tutto; mi sono adattata ad ogni situazione ma da mamma e da insegnante penso fermamente che un monitor non possa sostituire il contatto quotidiano con gli alunni. La scuola si può e si deve fare solo a scuola. Perché a scuola non si impara la singola disciplina, a scuola si insegna a vivere, guardandosi negli occhi».

Nella nostra città esistono anche numerose scuole paritarie, gestite da congregazioni religiose femminili, che godono di stima e ammirazione da parte della popolazione.

Suor Monica Frizziarin, padovana di origine ma aquilana di adozione, è una suora della Francescane Missionarie di Gesù Bambino e insegnante presso l’Istituto Santa Maria degli Angeli di L’Aquila, testimonia l’importanza della didattica in tempo di emergenza non solo dal punto di vista didattico, ma anche in una prospettiva umana: «Insegnare durante il lockdown è stata una sfida perché, continuamente, mi ha richiesto di vivere la flessibilità davanti a tante situazioni familiari, nella gestione dell’imprevisto, nell’organizzazione della didattica, nell’efficacia dell’insegnamento-apprendimento. Ho vissuto il tutto nella consapevolezza che la professionalità dell’insegnante è legata all’offerta di una proposta di didattica mirata, che infonda serenità, sicurezza e responsabilità, in modo che l’alunno accolga, crei ed elabori una risposta competente di fronte a qualsiasi circostanza della vita in cui si ritroverà a far fronte». Quello che più è mancato a giovani e docenti è stata la possibilità di stare insieme. La scorsa estate in diocesi, visto anche il basso tasso di incidenza del virus fra la popolazione, sono stati organizzati numerosi centri estivi e grest. Nonostante il rigido protocollo anticovid adottato, in ogni realtà è stata grande la gioia di poter giocare all’aria aperta e tornare a divertirsi insieme.

Isabella Pirchio, una giovane educatrice, ha così sintetizzato la sua esperienza in un centro estivo organizzato in città: «Dopo tutti questi mesi di isolamento, poter rivedere i ragazzi è stato molto bello e arricchente. Certo ci sono i social e i cellulari, ma vedersi di persona è imbattibile. È stata una ripartenza bella e strana allo stesso tempo, un modo particolare di rincontrarci. Nonostante l’impossibilità di abbracciarsi o toccarsi, l’ascoltare come hanno vissuto il periodo di chiusura e il condividere con loro l’opportunità di ricominciare sono stati un Dono, soprattutto per la bellezza e l’entusiasmo dei ragazzi. Un centro estivo diverso? Un po’ di regole in più? Non importa! L’importante è potersi rivedere e stare insieme e se il costo è stare attenti, bene, saremo più che attenti!».

di Luca Capannolo