In questi giorni in cui i fedeli non possono partecipare alle celebrazioni, le campane sono l’unico suono che dalle chiese arriva direttamente nelle nostre case, negli ospedali, nei luoghi di lavoro, senza passare attraverso altri strumenti. Sono la voce di Dio che entra nella vita degli uomini, che viene a dirci “sono con voi”».

Don Pietro Pratolongo conosce bene, da liturgista e da parroco di Pontremoli, quanto sia importante quel canto che attraversa le strade e raggiunge le persone là dove si trovano, da molto prima che esistessero la tv o internet. Non per niente i vescovi della Toscana hanno indicato proprio nelle campane il modo per riempire il silenzio di questi giorni, chiedendo che nella domenica di Pasqua, a mezzogiorno, in tutte le chiese suonino a festa «come segno di annuncio della vittoria di Cristo sulla morte, di speranza per uomini e donne in questo tempo di sofferenza, di comunione fra tutte le comunità e le genti di Toscana».

Cosa rappresentano le campane nella tradizione cristiana?

«Sono uno strumento antico. Almeno dal V o VI secolo, con Paolino da Nola secondo la tradizione, è iniziato l’uso delle campane per il richiamo liturgico. Ben presto però diventano anche il mezzo per scandire il ritmo del tempo, soprattutto in epoca medievale: il mondo contadino viveva al suono delle campane. Accanto alla funzione spirituale, hanno via via assunto una funzione civile: scandivano la preghiera ma anche la vita, il lavoro, tutte le attività quotidiane. Diventano anche la voce che avvisa in caso di pericolo, di incendio, di invasione. Con l’arrivo di altri strumenti, queste funzioni si sono andate pian piano perdendo, ma ancora in molti paesi la campana trasmette i messaggi che riguardano la vita della comunità, annunciano il decesso di qualcuno o chiamano a fare festa».

Oggi la capacità di riconoscere i diversi suoni si è persa, soprattutto nelle città…

«Sì, anche perché oggi abbiamo tutti il modo di sapere che ore sono senza aspettare di contare i rintocchi, e altri strumenti che ci avvisano di quello che sta succedendo. Resta però il valore simbolico di certi suoni: tutti riconosciamo, se ci facciamo attenzione, una campana che suona a morto, o il suono delle campane a festa per la grande occasione. La campana suona mezz’ora prima della Messa, per dirci che è il momento di prepararsi e uscire, suona per il matrimonio, per la festa paesana… Segna tutti i momenti della vita di una comunità. Poi, certo, ci sono momenti in cui il suono è particolarmente importante».

Quali sono?

«Sono essenzialmente due: la notte di Natale e la notte di Pasqua, in cui le campane segnano un momento preciso della celebrazione, il canto del Gloria, per salutare l’annuncio della nascita e della resurrezione di Gesù. Sono i due momenti in cui la campana assume il suo valore più alto».

Il suono delle campane di Pasqua poi è sempre particolarmente atteso, perché arriva al termine di un lungo silenzio: tradizionalmente le corde delle campane venivano legate. È ancora così?

«Al di là del gesto di legare le corde, è importante il fatto che la campana suona l’ultima volta al Gloria della messa in Coena Domini, il Giovedì Santo, poi si entra nel lungo silenzio di contemplazione della croce fino alla veglia del sabato. Il Triduo pasquale prevede tre celebrazioni, ma di fatto è una sola celebrazione scandita in tre giorni, e questo ritmo di suono e silenzio accompagna questo grande momento liturgico. La cosa bella è che tutti sanno, sia chi crede, sia chi non crede, che quando nella notte suona la campana i cristiani celebrano un avvenimento importante, ricordano la notte in cui Cristo è nato e quella in cui è risorto. Un suono che non è più lo scandire quotidiano della giornata ma diventa un annuncio gioioso del Vangelo».

Un annuncio di speranza che quest’anno avrà anche un valore particolare…

«Esatto, questa è una Pasqua in cui le liturgie si svolgono senza la presenza dei fedeli: il suono delle campane raggiunge tutti coloro che sono a casa, e magari soffrono di questa mancata partecipazione ai riti.  Mi ha colpito che, nella piazza San Pietro vuota e bagnata dalla pioggia, mentre il Papa ci dava la sua benedizione nel silenzio, c’era in sottofondo il suono delle campane di San Pietro. La campana ci ricorda che, anche se non possiamo celebrarlo come siamo abituati a fare, il mistero pasquale comunque avviene e si rinnova, e il Signore ce ne rende partecipi».

I vescovi hanno raccomandato ai parroci, fin dall’inizio di questa pandemia, di mantenere il suono delle campane, e in tanti mostrano di apprezzarlo. Perché secondo lei?

«Anche senza scomodare l’arte o la poesia, il suono delle campane generalmente dà allegria, piace molto ai bambini, strappa un sorriso: forse perché ci fa sentire parte di una comunità, ci richiama un senso di festa, di gioia».

L’arte campanaria si è persa, oggi spesso il suono è elettrificato. Questo cambia qualcosa?

«Il suono prodotto a mano è molto bello, alcuni campanari poi erano dei maestri, e in alcuni paesi ancora si mantiene la tradizione. Aver suonato le campane da bambino, magari trascinati in alto dalla corda della campana grossa, è per molti uno dei ricordi più cari. Ma gli strumenti che ci sono oggi almeno permettono di mantenere il suono anche quando il parroco è solo».

Quindi il suono delle campane di tutte le chiese nel giorno di Pasqua, a mezzogiorno, è un segno importante…

«Il segno liturgico del suono delle campane per la Pasqua è quello che avviene, in ogni chiesa, al canto del Gloria, quindi in orari diversi a seconda dell’orario della celebrazione. Il suono di mezzogiorno proposto dai vescovi è un bel segno che si aggiunge quest’anno. Magari, dove le campane suonano ogni giorno a quell’ora, si dovrà avere l’accorgimento di cambiare o prolungare il suono, per dare il senso di qualcosa di nuovo: un messaggio di speranza che si vuole far arrivare a tutti in questi tempi di prova».

di Riccardo Bigi