Il Covid ha portato alla luce tante situazioni di fragilità e i poveri più nascosti

Il centro distribuzione della Caritas diocesana di Chieti ha la sua sede nel plesso sottostante collegato alla cattedrale. In questi ultimi giorni di luglio la sua attività prosegue con ritmi quasi identici alla prima fase del Covid-19. La fila di quanti al mattino vengono a chiedere aiuto non si è accorciata rispetto al picco della pandemia. Il flusso è sempre continuo e i volontari del Csv  (Centro Servizi Volontariato) in appoggio alla Caritas teatina, svolgono il loro lavoro di squadra con lo stesso impegno dei mesi scorsi. «Oggi non c’è molta frutta», fa notare don Stefano, uno dei due presbiteri responsabili Caritas, che di primo mattino è già al centro per iniziare la giornata con un momento di preghiera con il gruppo dei volontari per poi proseguire insieme il lavoro di accoglienza. Non fa commenti don Stefano, non dice «datene poca» o «fatela bastare per tutti», ma guardando la cassetta di legno di susine fa una semplice constatazione: «questa è la frutta che abbiamo», come dire ognuno si regoli di conseguenza. È un messaggio che a guardarlo con gli occhi della fede esprime il senso di provvidenza del momento e allo stesso tempo di speranza che la situazione magari cambi nel corso della mattinata. Sul pane, invece, una volontaria mi confessa che nei giorni scorsi ha vissuto un episodio che le ha fatto molto riflettere:

«Ero in un supermercato – mi dice – e ad una signora mancava un euro per pagare la spesa che comprendeva anche del pane. Mi sono sentita di chiedergli se accettava da me l’euro mancante. Lei ha sorriso e mi ha ringraziata calorosamente. E questo mi ha colpita perché per me è stato un gesto spontaneo, anche se sono rimasta commossa da questo episodio, e forse ancora di più dal grazie sincero, più volte ripetuto, di questa signora».

Certo, al di là dell’episodio raccontato, niente come il pane offre spunti per comprendere la dignità del povero che è consapevole della sua condizione.

«E pensare – aggiunge un’altra volontaria – che in molte case, appena il pane diventa un po’ secco, si butta via.  Qui, invece, non si butta niente e le scorte di pane vengono consegnate fino all’ultima fetta».

La realtà – è l’opinione di Mina, un’altra volontaria – è che il Covid ha portato alla luce tante situazioni di fragilità, i poveri più nascosti che riuscivano a sopravvivere con poco all’interno della rete sociale non ce l’hanno fatta. Un ragazzo, quasi scusandosi, ha detto giorni fa all’incaricata che gli consegnava un pacco di viveri: «Io non sono mai venuto qui: fino a qualche mese fa me la cavavo, poi di colpo il deserto».

Il virus ha spazzato via per primo tanti lavori saltuari e la Caritas ha mitigato molte difficoltà partendo dalle emergenze alimentari, per passare alle bollette delle utenze, all’acquisto di medicine, prenotazione di visite mediche, alle esigenze dei più piccoli, ma ha anche fornito un sostegno morale ed umano a situazioni che stavano stravolgendo la vita delle persone, in particolare di quelle precipitate in pochissimo tempo dal benessere alla povertà, risultate le più fragili. I volontari hanno dato loro aiuto senza porre ostacoli.

«Abbiamo accolto tutti ponendo la massima attenzione ad ogni richiesta – ci hanno detto i volontari – per questo non abbiamo stilato “classifiche” per chi avesse più bisogno: ogni richiesta di aiuto ha avuto dignità di accoglienza. È ovvio che la parte più debole è stata individuata da tutti noi nei bambini e nelle donne incinte». Mina, che è laureata in psicologia, in proposito fa una riflessione di grande sensibilità quando ci dice: «una donna incinta che si rivolge a noi deve ricevere la migliore accoglienza possibile, da parte nostra, perché capisco, come donna, l’importanza di vivere serenamente la gravidanza, il momento più bello per una madre: l’attesa di un figlio che sta per nascere, un evento centrale nella vita di una donna e di una coppia, ecco perché  nel fornire loro aiuto cerchiamo sempre di svolgere il nostro servizio con la massima cura e disponibilità».

«Per i bambini invece che abbiamo conosciuto l’approccio è stato diverso – ci dicono le volontarie – perché hanno manifestato subito verso di noi una grande empatia e i doni consegnati, come una piccola lavagna che abbiamo regalato ad una bimba, li hanno resi veramente felici, mentre a noi il loro sorriso ci ha dato forza nell’affrontare i momenti più difficili del nostro servizio».

di Domenico De Simone