Fare come Gesù “prestando senza sperare nulla”

“Venite, benedetti del Padre mio. Perché avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere…”. Come cristiani sappiamo bene che il Signore, nel nostro incontro definitivo con Lui, non ci farà poi così tante domande: vorrà sapere da noi se durante i nostri passi sulla terra siamo stati capaci di amare. E vorrà anche capire se il nostro amore è stato gratuito o condizionato. È infatti lo stesso Gesù che nel Discorso della Montagna, la nuova e definitiva Legge del Cristiano, ci dice fermamente che “Se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? E se prestate a coloro dai quali sperate di riavere, che merito ne avrete? Fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete i figli dell’Altissimo”. Perché dico questo? Perché, se è vero che tutti noi siamo in grado di fare del bene all’altro, esercitando nel nome di Dio la più sublime delle virtù, ossia la carità, è altrettanto vero che troppo spesso siamo tentati di aggiungere al bene che facciamo dei “se” o dei “ma”, delle condizioni legate ai meriti, alla parentela, alla nazionalità, alla condizione sociale, al credo religioso. Nel tempo pasquale stiamo ascoltando gli Atti e la grande azione dello Spirito Santo che conduce gli Apostoli ad annunciare a tutti la Buona Novella della salvezza, cioè rivolgere a tutti incondizionatamente l’Amore di Dio. Si passa dal “prima al popolo di Israele” al “tutti!”: quanto attuale per noi oggi questo messaggio!

Dopo quasi sette anni di sacerdozio, posso ben dire che nell’ultimo anno e mezzo ho vissuto nel mio ministero un dono grande e inaspettato: l’essere Cappellano della Colonia penale di Mamone ha cambiato e certamente arricchito la mia piccola avventura sacerdotale. Non ho potuto fare particolari corsi di preparazione a questo servizio così prezioso, ma fin dal mio primo ingresso dentro quelle mura cariche di sofferenza, dolore, attesa e speranza, ho capito ciò che era davvero importante in questa nuova “Parrocchia” e cioè portare la Buona Novella di Gesù con Parola e presenza. È facile per tutti davanti a delle notizie di un telegiornale lanciare sentenze. Ponendomi davanti a tante storie di vita e affiancandomi a chi ha capito di aver sbagliato e desidera risollevarsi e ripartire, il Signore mi ha fatto sperimentare ancora di più che, anche quando per l’uomo sembra non esserci più speranza, il suo Amore può operare grandi miracoli, sapendo portare luce dove sembrano esserci solo tenebre.

Ecco, uno di questi miracoli è stata la raccolta fondi fatta dai detenuti per le famiglie che a causa dell’emergenza sanitaria hanno perso il lavoro. Ciò che a mio parere ha reso straordinario e pienamente evangelico quest’atto, è soprattutto il fatto che sia nato e sia stato portato avanti con assoluta spontaneità e gratuità. Nessuno infatti si è preoccupato di guardare nazionalità, meriti o demeriti di chi avrebbe ricevuto il frutto del proprio lavoro, ma l’interesse unico è stato quello di voler aiutare chi in questo momento aveva bisogno, senza la pretesa di sapere chi fosse e se lo meritasse. Un modo schietto e pienamente libero di dire a Dio e al mondo che, seppur in una situazione dura come quella della privazione della libertà e della lontananza dai propri cari, i detenuti sono parte della società e possono far sentire dentro di essa la loro presenza, condividendo con l’uomo i passi della storia, seppur guardandola da una finestra diversa.

Oggi questi nostri fratelli privati della libertà lo hanno fatto con un gesto nato per essere silenzioso ma che merita di essere annunciato. I destinatari della stessa opera di misericordia corporale ne hanno infatti concretizzato altre due, dando con il loro impegno da mangiare e da bere a chi lo necessita: una vera e propria abbondanza evangelica che merita di essere condivisa, non tanto per la quantità ma per la qualità: grazie a Dio per averci fatto vivere questa intensa pagina di Vangelo e grazie a voi fratelli di Mamone per l’esempio e l’insegnamento che ci avete dato.

don Alessandro Muggianu, cappellano Colonia Penale Mamone