Da sabato 22 febbraio i nostri ospiti sono privati dalle visite dei propri familiari e amici.

Vistosi cartelli li hanno allontanati già all’esordio dell’emergenza. Tutti hanno pensato si trattasse di un eccesso di prevenzione, ma non era così. Noi stessi gestori abbiamo deciso di anticipare il rigore delle ordinanze successive convinti che se nelle nostre Residenze fosse entrato il Coronavirus sarebbe stata una carneficina! Per lo stesso motivo abbiamo deliberato di chiudere i Centri Diurni Integrati e le attività territoriali non giudicate necessarie. Non c’è dubbio: soltanto una rigorosa cesura dei rapporti con l’esterno avrebbe potuto proteggere di più i nostri ospiti. Alla data attuale ci dobbiamo piuttosto chiedere se ciò sia stato sufficiente.

Il digiuno dai rapporti affettivi ci ha consentito 15 giorni di sostanziale controllo delle condizioni sanitarie dei nostri assistiti, ma ciò non ha potuto impedire che − noi stessi dipendenti e collaboratori, in contatto con l’esterno − portassimo in struttura il pungiglione del virus, mutuato nei rapporti familiari e sociali forse, anche nel nostro caso, troppo poco evitati. Il numero degli ospiti con febbre è aumentato, alcuni ricoveri d’urgenza sono stati necessari. Alla malattia dei degenti si è aggiunta quella dei lavoratori. Il risultato è un numero elevato di assenti che solo l’auspicato arrivo dei dispositivi di più alta protezione potrà far rientrare, superando lo scellerato blocco degli acquisti effettuato dalla Protezione Civile.

Ma come vivono i nostri ospiti questa segregazione dai rapporti con i loro cari? Sono stati fin troppo comprensivi, sia gli anziani che i disabili. Hanno capito che c’era in gioco la loro salute, si sono fidati dei loro educatori. Da parte nostra abbiamo potenziato la comunicazione con le famiglie, attivando le video-chiamate, mettendo a disposizione dei tablet, chiedendo ai parenti di inviarci delle mail con i propri saluti, allegando anche delle fotografie in modo da poterle stampare e consegnare ai loro cari. Abbiamo previsto un turno pieno delle centraliniste anche nelle giornate di sabato e domenica, affinché risultasse meno difficile trovare la disponibilità di un operatore che portasse il telefono all’orecchio degli ospiti.

Giornata. Durante la giornata gli animatori in Rsa e gli educatori con i disabili della Rsd, hanno implementato le attività ludiche e di intrattenimento, coinvolgendoli anche nella riflessione sul tema dell’emergenza in corso: che belli gli arcobaleni disegnati sulle lenzuola dai ragazzi e dagli anziani, appesi alle finestre delle loro residenze! In alcuni casi sono stati gli stessi ospiti a confidarci gradimento per una situazione più tranquilla e meno balneare del viavai che si registrava ordinariamente, vista l’apertura indiscriminata (8 – 20) cui tanto la Regione aveva puntato qualche anno fa, ottenendo la pressoché totale adesione delle strutture accreditate.

Non vorrei tacere taluni dolorosi aspetti di questa separazione; se n’è accorto bene il nostro vescovo Pierantonio che ha descritto sapientemente la partecipazione al drammatico momento del congedo, spesso consumato senza la presenza di una mano calda di un familiare e senza il conforto dei sacramenti religiosi. Dove è possibile prevederlo, avvisiamo le famiglie che si avvicina il momento del commiato. Allora vengono ammessi in struttura e avvicinati, uno alla volta, al capezzale del proprio congiunto. Più difficile se l’agonia avviene in ospedale, oppure se giunge improvvisa di notte, quando non è possibile curare bene questi aspetti di umanità. Per una recente ordinanza regionale non è peraltro assicurato che sulla salma del proprio congiunto i parenti possano gettare un ultimo sguardo prima della sepoltura.

Fondazione O.P. SS. Redentore Onlus Castelverde – Cremona