Cagliari, la testimonianza del cappellano del SS. Trinità don Elenio Abis

Trovarsi in prima linea la dove arrivano i pazienti più gravi affetti dal Coronavirus. Don Elenio Abis, giovane sacerdote di Cagliari, non si sarebbe aspettato, lo scorso settembre quando è stato nominato cappellano dell’ospedale SS. Trinità, di vivere questa vicenda dolorosa e complessa. «Sono giorni di grande impegno – racconta – e di innegabile difficoltà, ma sono anche giorni di grazia. Una situazione che è cambiata con le disposizioni del Governo e della Regione, che di fatto hanno reso l’ospedale un luogo blindato.

Viviamo la stessa sorte del fuoco che scioglie i metalli e li purifica dalle scorie: è un po’ l’immagine che raffigura la situazione che stiamo vivendo, perché è un grande esame di coscienza quello che ci viene richiesto. Anche quando le soluzioni sembrano essere inadeguate, infruttuose, abbiamo bisogno di dare testimonianza della speranza che è in noi. Anche se attorno a noi tutto sembra troppo fragile, e questo lo sto sperimentando, specie in reparto e in corsia, si ha bisogno di credere che c’è sempre Vita, con la V maiuscola».

La presenza di don Elenio come cappellano a Is Mirrionis è contraddistinto da un percorso spirituale di vera e propria Pastorale della salute, non solo nell’avvicinare il malato ma ancor più, fin da subito, nello stare accanto al personale medico, infermieristico, ausiliare. Una scelta che si è rivelata profetica nell’emergenza del coronavirus, dato che l’ospedale cagliaritano è uno dei due riferimenti regionali per la pandemia, che sta interessando l’intero pianeta.

«Il personale – ricorda don Elenio – mai come ora ha necessità di supporto, di vicinanza spirituale, visto il carico di lavoro e di stress al quale è sottoposto. C’è dunque da parte mia la necessità di andare incontro alla sofferenza per creare comunione, luoghi di amicizia spirituale. Il personale ti chiede vicinanza e di pregare insieme: la fede qui non è una via di fuga dalla drammaticità della situazione, ma aiuta a vivere la realtà, a non manipolarla e ci dona forza per un maggiore impegno in questo momento così delicato. Siamo quindi invitati a vivere la nostra esistenza come dono: posso dire che questo lo tocco con mano perché, in questi giorni, il personale si spende senza guardare a orari o altro. Si fanno grandi sacrifici per via dell’isolamento, nei rapporti con la famiglia e con i propri affetti, lontani da un quotidiano quasi dimenticato.

Davanti ad una realtà negativa che ci cade addosso e sembra toglierci la vita, quasi una condanna, si genera la paura. Ne scaturiscono due elementi: da una parte si comprende la propria fragilità, dall’altra emerge il bisogno radicale dell’Altro, non quello con la a minuscola ma con la A maiuscola. Sto sperimentando come si abbia necessità di un Amore più grande, che si può trovare solo in Dio. C’è una richiesta unanime, sia di chi conduce un’esperienza di fede e sia di chi invece alla ricerca di qualcuno di grande. La domanda di salute è di fatto una domanda di salvezza». La domanda di salute in ospedale si trasforma così in domanda di preghiera.

«Questo – conclude don Elenio – è bellissimo. La creatura, il cuore dell’uomo cerca la Vita, quella con la V maiuscola, e lo stare assieme in quella ricerca di armonia diventa unità nel reparto e nell’ospedale, che genera il team, il gruppo. Da qui nasce la mia semplice risposta, che è l’invito ad affidarsi e fidarsi. L’ospedale resta il santuario della Vita e non della morte».

di Roberto Comparetti