Con le solennità dell’Ascensione e della Pentecoste la Chiesa è entrata nella FASE 2, non perché ha ripreso a celebrare le messe, ma perché ogni anno questi misteri ci fanno entrare in quel grande oggi che segue la prima venuta di Cristo ed è attesa del suo ritorno. In questo spazio siamo affidati all’azione dello Spirito che ci insegna ogni cosa e ci guida alla verità tutta intera.

Scrive un autore parafrasando le beatitudini:

Beati quelli che hanno occhi tanto limpidi da vedere tracce di Dio dovunque” (E.Ronchi).

Il Signore ci conceda il dono di occhi e cuori puri per cercarlo nelle pieghe di ogni tempo, anche di questo tempo.

L’Ascensione e la Pentecoste inaugurano il tempo della Chiesa, il tempo dello Spirito: cioè il tempo della comunità che cresce, della missione, dell’annuncio, ma anche il tempo della ferialità e della fragilità. Gesù, infatti, saluta i suoi facendoli ripartire dalla Galilea, il luogo della vita quotidiana, e le letture dell’Ascensione non ci hanno nascosto i tratti di una comunità ferità (sono rimasti in undici) e che dubita (Mt 28,17).

Il desiderio potrebbe essere quello dei discepoli, i quali con apprensione domandano: “è questo il tempo in cui ricostruirai il regno per Israele?” (At 1,6); conoscere i tempi, sapere cosa c’è da fare, cercare soluzioni… ecco la tentazione. Invece siamo invitati ad attendere e riconoscere l’opera dello Spirito e a essere nel “qui e ora” testimoni della Resurrezione.

Vogliamo allora ancora una volta sostare insieme per riconoscere l’azione dello Spirito: cosa il Signore ha detto in questi tre mesi alla nostra Chiesa, alla sua identità e alla sua missione?  Senza nessuna pretesa, condividiamo qualche altro spunto, certi del fatto che sarebbe prezioso che ogni comunità ripartisse da questa domanda.

Com’è capitato alla vita personale e ai legami familiari, anche le relazioni comunitarie sono state “verificate” da questo tempo. Cosa è rimasto nel vuoto dei tanti incontri pastorali? Come ne è uscita ad esempio la relazione con le famiglie del catechismo, con i fidanzati o con le coppie con cui si era cominciato un cammino? Come siamo riusciti ad accompagnarci nella fede pur rimanendo in casa?

Sicuramente ci sono state sorprese positive: il tentativo di farsi sentire e di cercarci in modo più gratuito, la creativa produzione di strumenti per piccole liturgie domestiche, l’interessamento e la preghiera per chi era nella fragilità o più esposto al contagio per motivi lavorativi.

Al tempo stesso in altri casi ci siamo accorti della debolezza dei nostri rapporti con tanti adulti che incrociamo marginalmente, del carattere funzionale di certe relazioni, della necessità di imparare a parlare un linguaggio che tutti possano comprendere, proprio come lo Spirito dà potere di fare nel racconto della Pentecoste (At 2, 4;6) e come anche Papa Francesco ci ha testimoniato attraverso le parole e i segni posti in questo tempo.

In questi giorni, in riferimento alle nostre case e alle famiglie, abbiamo sentito usare la ben nota formula “piccola Chiesa domestica”, soprattutto rispetto ai momenti di preghiera che sono stati condivisi all’interno di questi contesti. Sicuramente per alcuni vivere la casa come luogo di preghiera e riuscire a condividerla con altri è stata una bella scoperta; accorgerci che la fede cresce anche in assenza di alcuni canali ordinari ci consola. Non dobbiamo però pensare che la famiglia sia “piccola Chiesa” perché in tempi di emergenza è capace di supplire l’assenza delle celebrazioni. Per motivi ben più profondi la famiglia è Chiesa domestica. Nelle nostre case, anche in quelle di chi ancora non ha incontrato il Signore, come seme nascosto, a volte in compagnia della zizzania, cresce il Regno di Dio … come egli stesso non lo sa (Mc 4, 27). Nella quotidianità dell’amore donato ogni giorno, nella nostra Galilea a volte ruvida e faticosa si vivono stralci di beatitudini e il Signore è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28,20). Questa è la Chiesa domestica.

Stare in casa e non poter andare in chiesa, forse, ha fatto anche emergere la grazia ricevuta nei sacramenti del Battesimo e del Matrimonio. Poiché nessuna angoscia, nessun pericolo, nessuna condizione ha potuto o potrà separarci dall’amore di Cristo (Rm 8,35-39), secondo la grazia del battesimo, abbiamo potuto continuare a essere e vivere da figli di Dio e abbiamo potuto intuire maggiormente la nostra chiamata a divenire somiglianti a Cristo nel suo sacerdozio, nel suo dare la vita. E in questo tempo anche il sacramento del matrimonio può aver espresso meglio la sua sostanza, nell’essere grazia che opera per unire gli sposi a Cristo, secondo un amore tutt’altro che rinchiuso in se stesso, ma riscoperto fecondo nell’accogliere maggiormente i figli o nel farsi prossimi alle necessità dei fratelli.

Abbiamo bisogno di riappropriarci di questa consapevolezza: le Chiese vuote hanno riportato l’attenzione sulle case piene. Le chiese, che ora sono costrette a celebrare con le porte aperte, devono aprire gli occhi e gioire di quella vita imperfetta e preziosa che scorre davanti a esse. E forse finalmente trarre l’impulso per scoprire nuove vie di evangelizzazione, sul solco della “Chiesa in uscita” di cui parla il Papa. Vie nuove suggerite da quell’esserci fatti prossimi alla vita delle famiglie e degli uomini, la vita che conosce insieme all’insicurezza e alla fragilità, la bellezza della ferialità e della casa.

Un ultimo pensiero. Forse questo tempo ci ha allenato alla pazienza, ci ha reso più consapevoli della nostra creaturalità, ci ha fatto sentire più come gli altri, ma non illudiamoci che bastino tre mesi per convertirci. Le nostre diversità e le nostre piccinerie permangono, ciascuno poi ha vissuto questo tempo in modo diverso. Ora nel radunarci ci è chiesto di ri-accoglierci così come siamo, di sospendere il giudizio sul “sentire” e le sensibilità degli altri, di gioire di quello che c’è e di non lamentarci per quello che manca. Ci è chiesto ancora e ancora di preferire l’avviarsi di processi piuttosto che l’occupare spazi (EG).

Allora chiediamo a Maria, piena di grazia, l’aiuto necessario per poter accogliere pienamente lo Spirito di sapienza e far tesoro di ciò che questo periodo ha portato in ricchezza all’umanità e alla Chiesa. Chiediamo anche tutta la dolcezza, il rispetto, la piena coscienza (1Pt 3,15-16) e la pazienza che sono necessari per proseguire il cammino ed essere sempre a servizio della Comunione.

di L’équipe di pastorale familiare