Venuto a conoscenza dell’intento del vescovo della Diocesi di Locri-Gerace, sua S.E. Mons. Francesco Oliva, di rendere disponibile agli enti preposti una struttura di proprietà della Diocesi per l’eventuale utilizzo in ambito sanitario, essendo in corso l’emergenza di Covid-19, è nata in me una riflessione. Il mio rapporto con questa struttura, che era l’asilo comunale di Sant’Ilario dello Jonio negli anni ’60 del secolo scorso, è sempre stato molto forte, come un buon legame d’amore che si rispetti. Un’immagine ricorrente nei miei ricordi d’infanzia, che sa vivere ancora attraverso la memoria e nella bellezza delle parole che scelgo accuratemente per colorarla. Lo frequentai all’inizio degli anni ’70, piantando lì, in quella struttura ubicata all’entrata del paesello, la radice dell’appartenenza.

Negli anni ’80, dopo che la struttura passò in gestione alla Diocesi, quest’ultima inviò sul posto una delegazione delle Suore Salesiane Oblate del Sacro Cuore, da cui prese poi il nome l’Istituto. La direttrice Suor Ester Frontera, che ricordo affettuosamente, insieme a  Suor Michelina e a tante altre che si sono succedute nel corso degli anni (Suor Carmelina, Suor Teresina, ecc.), hanno dato vita ad un profondo sodalizio con l’intera comunità santilariese, facendo dell’asilo un punto di riferimento. Qui, al sistema scolastico che faceva da base e all’insegnamento vigoroso della religione, si affiancavano attività ludiche, ricreative e laboratori di vario genere (taglio e cucito, ricamo, cucina, canto). Una scuola di socialità, volta a rinvigorire i tradizionali valori già appresi in famiglia; una scuola di vita, che trasmetteva senso del dovere e di responsabilità; una scuola di cultura, di possibilità e di opportunità.

I più grandi, già formati, aiutavano i più piccoli, creando una catena perfetta, trascinata da guide sicure volte ad allungarla fino ad obiettivi concreti. I bambini e soprattutto  i giovani, da sempre parte fragile della società, nel coinvolgimento di progetti, nella decifrazione delle proprie paure e dei propri sogni, hanno sempre trovato nell’istituto  un porto sicuro a cui attraccare la propria nave.
Dopo aver messo le radici è necessario mantenerle salde ed è per questo che lì tornavo, trascorrevo parte del mio tempo in compagnia delle suore e tendevo la mia mano in segno di rispetto e cooperazione. La fiducia che ho sempre riposto in quei volti e in quei sorrisi non mi ha mai abbandonato, anzi essa è stata il motore che ha acceso la volontà di custodia e protezione verso quelle sale, quel giardino, quella cappella.

Una volontà che si è fatta più presente, quando nel Giugno del 2006 le suore hanno lasciato la sede.
Il vescovo di quegli anni, Mons. GianCarlo Maria Bregantini, ha tenuto così una riunione in Episcopio per determinare l’Ente gestore della struttura, con il chiaro intento di continuare a tenerla in attività. Sentiti tutti gli interventi, le proposte e i chiarimenti sui programmi degni organi convocati, perché intenti ad ottenere la suddetta, il Vescovo ha comunicato ai presenti che diveniva promotore della sua cura l’Associazione Unione Mollica, di cui io ero il presidente. In quell’associazione, prima della mia persona, hanno saputo parlare le radici coltivate, le nozioni apprese e il mio attaccamento personale a quel ricordo e quella parte di casa.

Era il 13 Giugno del 2006 il giorno in cui sono stati definiti, tramite un protocollo d’intesa, vincoli e limiti, disposizioni e accordi. Oltre alla gestione dei locali, un’altra parola veniva ad essa affiancata: tutela. Tutelare ciò che abbiamo per anni custodito non è lavoro più semplice che affondare la radice. Diviene viva la consapevolezza di aver raggiunto un importante traguardo e pertanto il momento giusto per impiegare mezzi sufficienti a garantire il sostegno. La richiesta dell’associazione aveva l’intento di adoperare la sede “per fini culturali e sociali” del Centro Studi dell’Unione Mollica per la promozione della cultura, con una quasi ovvia integrazione di eventi e/o manifestazioni che altri enti avrebbero voluto proporre.

Con spirito di generosità, lealtà e amicizia abbiamo aperto la strada a numerose attività: coinvolgimento delle scuole; organizzazione di convegni dai temi più vari; inviti ad esperti; presentazione di libri; discussione su temi, dalla scienza alla letteratura; realizzazione di mostre fotografiche;  pianificazione di attività sportive, gite, escursioni (nasceva il Gruppo Archeologico ed Escursionistico Akropolis);  valorizzazione di beni di interesse artistico e storico; valorizzazione della natura e dell’ambiente; focalizzazione dell’attenzione su temi particolari quali emigrazione e immigrazione e, a tal proposito, messa a disposizione della comunità di una biblioteca (venne invitato chiunque ad arricchirla con materiale nuovo: lettere, documenti, filmati, ecc., in prospettiva di un archivio solido e gratuito). In tutte queste e in molte altre occasioni ho condiviso l’esperienza con persone competenti e buone d’animo, felici di trasmettere i loro messaggi e le loro esperienze.

Ricordo con grande ammirazione e amicizia Don Eugenio Fizzotti, che io definisco come un filo conduttore in questo albero/struttura, una sua vena possente e indelebile. Oltre all’esposizione e presentazione dei suoi scritti, dei convegni e delle manifestazioni a supporto, era stato parroco di Sant’Ilario per un anno (1984-85), quando le suore abitavano i locali. Un intreccio profondo e di riflessione che ha dato un quid in più alla bellezza di quei fiori, trasformati in frutti dai tantissimi bambini e ragazzi che hanno animato la struttura. Mi piace ricordarli tra i banchi, tra pennarelli e matite, durante il laboratorio artigianale per la messa in atto di corti animati, imparando come da un semplice disegno “nasce” il movimento e quindi il risultato finale. Esso era attività complementare di Epizephiry Corto Film Festival (cui ero direttore artistico), finestra aperta al panorama del cinema e dei suoi dintorni. Il primo lavoro è stato “Spluff”, questo il titolo del corto-cortissimo che ancora oggi è possibile trovare in internet.

Dopo varie circostanze ho dovuto cedere alla restituzione della struttura, ma le mie forti radici, il mio senso di custodia e i miei ricordi, ogni qualvolta passo davanti, mi restituiscono lacrime commosse e insofferenti. Torno per un attimo bambino e con queste lacrime innaffio l’albero. Se frutti maturi sono caduti, mi auguro che nascano altri fiori, sorretti da altri rami. Non vi è identità senza appartenenza, ma neanche sconfitta senza speranza.

di Renato Mollica